Refashion, una vera e propria challenge creativa
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Non si tratta di stravolgere nulla, perchè piccole, ma significative modifiche possono riportare alla vita abiti dimenticati.
Refashion e upcycling sono termini sempre più noti, non solo agli anglofoni, ma anche a tutti coloro che sono sempre più propensi a rigenerare vecchi abiti in nuovi capi o accessori. La popolarità di queste espressioni denota una crescente tendenza a dare nuova vita a indumenti riposti in cantina o nelle soffitte. Tante le ragioni determinanti per una nuova cultura dell’abito, ispirata sempre più alla personalizzazione e alla creatività. Ma la rigenerazione di abiti e indumenti è coerente con la sensibilità delle nuove generazioni verso la cultura eco friendly e la sostenibilità ambientale. Senza dimenticare la riscoperta del vintage, così come il desiderio di inserire dettagli retro anche su abiti adatti all’uomo e alle donne del ventunesimo secolo. Il refashion rappresenta dunque una sorta di challenge creativa anche per i professionisti nell’ambito sartoriale, che da sempre cercano di rivitalizzare vecchi abiti mettendo in luce i dettagli migliori.
Refashion: nuova vita ai nostri capi
Il refashion impone un ripensamento di ciò che si credeva pronto per essere gettato via. Perché il fondo di un armadio può essere ben più profondo di quanto non si pensi, e celare maglioni o camicie che, rimodernati, potrebbero essere abbinati a gonne e pantaloni. Stringere fianchi, maniche di giacche o cappotti sono operazioni di routine, alla base di riparazioni ordinarie, ma possono ispirare anche nuove idee e nuove proposte. Così oltre a forbici, ago e filo, largo spazio a borchie, perle, strass o bottoni di colori diversi. Nelle mani di abili sarte e sarti una giacca bianca diventa un altro capo. Bastano stoffe con stampe colorate e pattern floreali perché un capo forse fin troppo sobrio si trasformi in un abito vivace e con carattere. Non si tratta di stravolgere nulla, i tanti esempi del refashion suggeriscono piuttosto piccole, ma significative aggiunte capaci di riportare alla vita abiti dimenticati.
Grazie a un guizzo creativo in più, la creatività fa rima con sostenibilità oltre ogni misura.
Una sfida creativa, e sostenibile
Il mix and match è uno dei principi saldi nell’ambito della rigenerazione dei capi che non intendiamo più gettare via. Un look fresco, dal sapore unico, può essere indicativo di una personalità che non si accontenta dei trend della moda. Una filosofia del proporre piuttosto che dell’imporre, un concept caro a chi ama sperimentare più che copiare. Dai Jeans che diventano shorts a vecchie maglie che diventano top alla moda, l’upcycling non è solo la risposta alle istanze creative, ma anche alle istanze ambientali. Molti utenti ancora sottovalutano quanto l’industria della moda di massa incida sul consumo di risorse come l’acqua. Ogni volta che si allungano t-shirt o gonne troppo corte, contribuiamo più o meno inconsapevolmente alla tutela dell’ambiente e del nostro futuro. Ancor di più quando il refashion suggerisce idee solo apparentemente bizzarre, ma che il più delle volte funzionano.
Il contributo dei sarti per il refashion
Esistono casi di persone che hanno convertito un vecchio paio di jeans in grembiuli, o un maglione in un paio di guanti. A dimostrazione che la creatività davvero non ha limiti, e che proprio grazie a un guizzo creativo in più, la creatività fa rima con sostenibilità oltre ogni misura. Naturalmente, non sempre una buona manualità che tragga ispirazione da un’idea è sufficiente a rigenerare un vecchio capo in disuso. Con il passare del tempo, occorre tener presente che il corpo cambia e quindi occorrono mani particolarmente esperte per porre rimedio. Rivolgendosi a una sartoria dove lavorano veri professionisti, quintessenza del più autentico made in Italy, maglie o pantaloni oversize tornano ad essere capi aderenti. Dal tocco snello e slanciato. Ovviamente sarte e sarti possono suggerire piccoli accorgimenti per sfruttare accessori come sciarpe o cinture, evidenziando bellezza e unicità che si annidano tra le trame di un vestito.
La valorizzazione attraverso il refashion permette a chiunque di sfogare la propria capacità inventiva, dar retta a nuove esigenze
Una nuova vita per i capi sempre possibile
Quando si parla di upcycling e rigenerazione di abiti, c’è una tendenza che spicca più di altre: l’idea che il refashion riguardi solo il guardaroba. Niente di più lontano dalla realtà; esistono altri modi per dare nuova vita a maglioni, camicie e pantaloni dimenticati nel vano di un armadio. D’altronde, anche in passato c’era l’abitudine di ritagliare pezzi di tessuto per trasformare vecchi componenti d’arredo come federe di cuscini o tende in qualcosa di nuovo. Pertanto, la casa si trasforma nello spazio ideale per reinventare e ricordare, dato che esistono capi più speciali di altri. La valorizzazione attraverso il refashion permette a chiunque di sfogare la propria capacità inventiva, dar retta a nuove esigenze e, al contempo, tutelare sé stessi dai rischi legati a inquinamento e dispersione delle risorse. Una declinazione nell’ambito dell’economia circolare che punta su etica e condivisione, per rilanciare e rimodellare una nuova definizione di comunità.
Gli abiti sartoriali: unici, esclusivi, stilosi
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Gli abiti sartoriali non sono semplicemente sinonimo di capi di qualità o alla moda. Innanzitutto, un abito su misura è una creazione personalizzata, ideale per rispondere a esigenze, gusti, desideri che si distinguono. Prima della loro realizzazione, il sarto o lo stilista dialogano con la persona, prendono le misure, valutano aspettative e possibilità su come valorizzare al massimo il capo o i capi che verranno alla luce. La scelta del tessuto, la cura per i dettagli, l’interesse reciproco perché ogni creazione calzi alla perfezione, garantendo stile e vestibilità a cui uomini e donne non intendono rinunciare. Il professionista è pronto a mettere in risalto le caratteristiche migliori nascondendo o marginalizzando quei punti che rendono insicure le persone che si trova di fronte. I sarti sono talvolta artigiani, talvolta artisti che, a prescindere dal background culturale e dal contesto in cui operano, si tengono a debita distanza dalla produzione di massa.
Abiti sartoriali. Eleganza oltre il tempo
La creazione di abiti sartoriali non esclude la possibilità di acquistare capi d’abbagliamento altrove – nei negozi o negli store online. Tuttavia, è un’alternativa che dà al cliente – a frequenza variabile –l’opportunità di indossare capi belli, unici, esclusivi. Ma non solo: i clienti più assidui si sentono via via più stimolati. Al punto da sentirsi coinvolti e primi attori nel processo creativo. Entra così in gioco uno scambio di idee, opinioni con il proprio sarto o la propria sarta di fiducia. Nel tempo, reciprocità e creatività consolidano quel legame umano e professionale che li – e ci – unisce. D’altronde, il rapporto tra sarti e clienti è spesso come le creazioni. Unico ed esclusivo, un’occasione in più per improntare la prossima creazione sulla fiducia e la stima reciproca
Vestibilità e autostima.
La vestibilità resta obiettivo principale dell’abbigliamento su misura. Un abito ben adattato alle misure del singolo è sinonimo di praticità e comfort. Quindi, è intuibile quanto sia importante non avvertire aderenze o allentamenti eccessivi. Anche perché meno un abito si adatta al nostro corpo, minore è la fiducia in noi stessi. Stessa cosa vale per l’autostima; dunque, personalizzare un abito significa anche lavorare sugli umori del singolo, proprio perché ogni abito ha un carattere. In questo caso, regolabile specie sotto alcuni aspetti come:
- vestibilità intorno a punti strategici come il collo
- lunghezza delle maniche
- adattabilità alla corporatura
In merito all’ultimo punto, la creazione di un vestito tiene conto della corporatura che la persona ha quando avviene la misurazione. È difficile fare previsioni, specie se si tirano in ballo diete miracolose che avverranno o di sessioni in palestra che dovrebbero garantire risultati a medio o lungo termine.
Questione di punti e centimetri.
Gli abiti sartoriali passano attraverso le mani di professionisti che controllano ogni dettaglio. I sarti su misura danno importanza alla precisione. Sono in grado di apportare le modifiche quando possibile e individuare eventuali incongruenze. Si attengono al giusto numero di punti e centimetri, riescono a lavorare su un tessuto, purché sia di qualità e sia resistente. Ovviamente, l’idea dell’abito corrisponde a un’idea di tessuto. La decisione di optare per questo o quel tessuto tiene conto di parametri come stagionalità, clima, o trame miste. È bene conoscere le diverse trame e le loro caratteristiche perché le trame influiscono sulla struttura dei vestiti, nonché sulla traspirazione dell’aria e la tendenza a stropicciarsi o rimanere il più possibile liscio e senza pieghe.
Un abito è per sempre
L’abito sartoriale o su misura è nato per durare nel tempo. Durata non è solo sinonimo di longevità. Scegliere l’abito su misura, così come la decisione di apportare modifiche ritenute necessarie contrasta con la filosofia di fast fashion imperante. Quindi, anche in fase di modifica, si deve tenere conto che una riparazione di qualità su un abito di qualità è di per sé un investimento vantaggioso. Tutti gli abiti sartoriali su misura sono costruiti con competenza e cura e progettati per durare nel tempo. Non sono però solo i tanti modelli o tessuti di alta qualità ed eleganza che fanno la differenza rispetto alla produzione in serie. Nel mondo sartoriale, lavorano persone piene di idee e sempre a caccia di nuove prospettive e nuovi orizzonti sui quali sperimentare e spingersi lì dove magari non si è spinto nessuno. La sartoria è il punto di partenza di stilisti oggi osannati, senza i quali moda e stile avrebbero un significato ben diverso.
Gli abiti sartoriali: storia e cultura oltre lo stile
Puntare sull’acquisto di abiti sartoriali apporta vantaggi anche in termini di sostenibilità. In un’epoca in cui la sostenibilità e la moda green sono sempre più importanti, gli abiti su misura possono essere una buona scelta. Investendo in un abito su misura, si sostiene l’artigianato locale e dunque si riduce la necessità della produzione di massa e del consumo eccessivo. Fattori altamente impattanti per l’ambiente. La sostenibilità è un valore aggiunto quando si ragiona in termini di differenziazione e unicità nello stile. Un artigiano locale si trascina un mondo fatto di immagini, colori e suoni che non hanno uguali in città nemmeno troppo lontane. Indossando – e non solo creando – abiti sartoriali possiamo essere testimonial di storia, cultura, e umanità. Valori senza i quali il mondo sarebbe un posto un po’ meno interessante, sicuramente più monotono e monocolore.
Outfit in ufficio: idee per un autunno vincente
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L’outfit per il rientro in ufficio offre alle donne la possibilità di esplorare nuovi look. La ricerca di nuovi abiti permette di valutare nuovi abiti e accessori; uno stimolo in più perché l’inevitabile back-to-work si trasformi in un pretesto per rivoluzionare o aggiornare il guardaroba. Specialmente quando, in concomitanza dell’autunno, le ore di luce si accorciano e il ritorno alla routine rischia di ingrigire le nostre giornate. Così potrebbe venire in mente di dare un’occhiata alle nuove collezioni che, in questo scorcio dell’anno, suggeriscono combinazioni di abiti e accessori. Tra tutti spicca lo street style, per la caratteristica di mettere insieme capi che evocano freschezza, leggerezza e dettagli che aggiungono un tocco di eleganza. Un mix ideale, versatile per non restare impreparate in quelle giornate dove si alternano situazioni formali e informali. Motivo in più per impegnarsi in una ricerca nuova, che possa dare nuovo significato all’imminente stagione fredda.
Back to work, l’outfit creativo e pratico
Settembre, ottobre, novembre. A volte il calendario può sembrare impietoso, così come l’idea di andare incontro a notti più lunghe e mesi uggiosi. Quindi è meglio considerare l’outfit per il rientro in ufficio come l’occasione per aggiungere coolness al mood generale, specie in vista del cambio stagione. Essendo stagione di transizione, l’autunno può essere occasione di reinventarsi senza stravolgere la propria personalità da capo a piedi. Le tendenze di questo 2024 virano verso blazer gessati, maglie polo a manica lunga, camicie a righe, pantaloni con pinces e ballerine. Tuttavia, chiunque sia alla ricerca di un nuovo outfit deve fare tanto un piccolo sforzo d’immaginazione, quanto uno a carattere pratico. Magari studiando nuovi accostamenti di colori oppure abbinando abiti sartoriali che evocano un certo classicismo a sneakers informali e confortevoli. Quando i mesi estivi diventano un lontano ricordo, una rivoluzione nell’armadio può rivelarsi un antidoto contro un atteggiamento particolarmente malinconico.
Ok gli abiti, ma quali calzature?
Grazie alle nuove idee e alle proposte che arrivano dai vari esperti del settore, l’outfit per il rientro da ufficio dà a tante donne un’occasione in più per evolversi e scoprire una nuova immagine di sé. Magari un’immagine alternativa, che potrebbe essere premiata con giacca di pelle, gonna bianca e slingback animalier ai piedi. Le slingback sono calzature evergreen, un must-have per tante donne di generazioni diverse. Sono tante le linee proposte: in raso o in strass, con minirialzo o tacco più alto. Dalla tinta unica all’animalier, questa soluzione – un’autentica via di mezzo tra sandalo e decolleté – vale in tutti i contesti. L’opzione di indossarle sotto i denim resta sempre valida, e in quel caso si potrebbe optare per una camicia a scacchi o a fantasia. Un suggerimento da tenere in conto per non sentirsi troppo eleganti o troppo casual.
Il look minimal ha bisogno di idee (e accessori)
Non è raro imbattersi in donne che in ufficio indossano un paio di jeans sotto una maglietta bianca dal taglio semplice. Quanto basta per essere comode e sentirsi a proprio agio in un look sicuramente non sbagliato, ma che potrebbe stancare presto. Aggiungere un blazer o un paio di mocassini potrebbe essere un giusto compromesso, per non rinunciare al comfort e per essere impeccabili quando la situazione lo richiede. D’altronde, le dinamiche in ambito lavorativo sono imprevedibili, dove sono diversi i dress code richiesti. Pertanto, quando si valuta l’outfit per il rientro in ufficio è importante tenere a mente che la varietà nell’armadio è sempre una buona opzione. Chi ama il black and white lo sa, perché può alternare Un completo total black a pantaloni neri dal taglio sartoriale indossati sotto camicie bianche, dal tessuto morbido, vagamente hippie. Da invertire il giorno dopo, quando la t-shirt diventa nera, leggermente oversize e i pantaloni sono bianchi e a vita alta.
Outfit in ufficio, qualche abbinamento vincente
Nel guardaroba delle donne non mancano mai borse, scarpe, cinture. Ma ci sono capi che si possono trovare anche nei guardaroba e negli armadi degli uomini. Come l’intramontabile camicia azzurra unisex che concilia praticità e coolness. Perché una camicia azzurra può essere indossata sopra pantaloni in tonalità diverse, meglio ancora se chiare come l’avorio, il beige – oltre a sfumature sul giallo. Anche nella prossima stagione autunnale, l’abbinamento camicia pantalone resta uno di quelli tra i più gettonati. Ai piedi, vanno bene le intramontabili sneakers, ma molte donne potrebbero anche optare per ballerine a tinta unica o bi-color. Nell’outfit per il rientro in ufficio, le borse meritano sempre una menzione speciale. L’autunno potrebbe suggerire sfumature nere o marroni, ma non mancano tinte bordeaux, ocra o verde olio. Notevole la varietà di forme e dimensioni, incluse quelle soluzioni che cercano il compromesso tra day bag e pochette adatte per la sera.
L'evoluzione della moda uomo, dal panciotto al casual
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L’evoluzione della moda maschile ha subito numerosi cambiamenti nel corso dei secoli. Merito delle grandi maison di moda maschile e femminile, ma anche dell’attenzione del grande pubblico, da sempre sensibile alla qualità e al fascino di creazioni senza tempo. Già nel primo dopoguerra, con la ripresa economica e la crescente domanda di abiti o accessori di lusso, case di moda celebri come Chanel, Dior, Balenciaga, crearono abiti femminili immortali. Iconici in quanto capaci di rappresentare i cambiamenti storici, sociali e culturali del periodo. Successivamente, anche maison dal calibro di Brioni, Corneliani e Zegna, hanno definito alti livelli di stile nella moda maschile.
Evoluzione della moda in tre secoli
Se nel Settecento l’uomo poteva eccedere in ciprie, parrucche e piume, il diciannovesimo secolo vede la moda maschile virare verso stoffe e colori più austeri. Dominano la scena cravatta, panciotto, giacca. Con l’avanzare delle decadi la camicia diventa più simile a come la conosciamo oggi, mentre la cravatta diventa accessorio per l’uomo vittoriano, orgoglioso di essersi fatto da solo. In un mondo dominato sempre più dal materialismo e dall’apparenza, il nodo della cravatta diventa oggetto di critiche o apprezzamenti. Ma il focus della moda maschile si allarga, estendendosi sempre più ad accessori che lo qualificano in società. Come cappello, bastone da passeggio e l’ orologio da taschino – d’oro o d’argento a seconda dello status – legato da una catenella alla prima asola del panciotto.
Un secolo nuovo
L’uomo contemporaneo lotta contro il tempo. L’evoluzione della moda maschile conosce un’accelerata quando il Re d’Inghilterra Edoardo VII si rimbocca l’orlo dei pantaloni durante le battute di caccia, per evitare che si sporchino. Se negli anni 10 la moda maschile è abbastanza in linea con quella del decennio precedente, si fanno largo abiti a tre pezzi anche nei salotti, meno formali. Cappello di homburg e bombetta diventano sempre più popolari, prima che una guerra mondiale cambi il destino del mondo.
Anni 20 e 30
L’evoluzione della moda maschile negli anni Venti tiene conto dei giovani che tornano dal fronte e delle donne che li sostituiscono sul posto di lavoro. Fattori che alimentano un’insofferenza verso la mentalità vittoriana e ottocentesca. Via libera a colletti morbidi, giacche a uno o due bottoni, indossate senza gilet. Si diffonde il plus-four, tipo di pantaloni a gamba corta che si raccolgono intorno al ginocchio, il cui nome dipende dai quattro centimetri di stoffa che pendono oltre la fascia allacciata sul ginocchio. Sport come tennis o golf, praticati nell’alta società iniziano a influenzare la moda, tanto che nel decennio successivo la moda casual entra prepotentemente in scena. Gli anni 30 scartano definitivamente ghette, stivali da cerimonia, panciotti e colletti rigidi.
Tra guerra e gioventù bruciata: gli anni 40 e 50
Nel dopoguerra, l’approccio americano ispirò uno stile più casual e sportivo. I militari americani di ritorno dalle isole del Pacifico infilano intanto nei borsoni anche camicie hawaiane e colorate. Tuttavia, è negli anni Cinquanta che l’evoluzione della moda maschile si distingue da quella femminile più nettamente. Le donne puntano su stile e formalità, gli uomini danno via alla ribellione che caratterizza il decennio. Audrey Hepburn e Grace Kelly portano in auge stilisti dell’haute couture. Coetanei come Marlon Brando e James Dean indossano giacche di pelle, canotte bianche, jeans al posto dei pantaloni. In Gran Bretagna, i figli della classe operaia propendono per uno stile caratterizzato da pantaloni stretti, abiti dal taglio sottile, giacche con colletto di velluto. I capelli vanno ingellati e portati all’indietro. Dopotutto, è il decennio di Elvis e del rock’n’roll.
La Swinging London, il Vietnam, gli hippie: Gli anni 60
Negli anni Sessanta moda maschile e femminile si riallineano verso il casual. È il decennio della Swinging London dove stampe e colori vivaci cominciano a prendere il sopravvento. Giacche senza colletto, cravatte che tendono ad allargarsi. L’influenza delle città è notevole e a metà decade emergono la controcultura, i movimenti pacifisti e femministi. Capi d’abbigliamento e accessori diventano più audaci, si contestano le guerre; eppure, il look militar diventa un viatico. Perché per farsi ascoltare, bisogna prima farsi vedere. Oppure il contrario; le contraddizioni sono dietro l’angolo, e lo sanno bene Mick Jagger, Jimi Hendrix e i Beatles, con le giacche militari indossate per spirito di peace and love.
Evoluzione della moda uomo, la svolta dei 70
Camicie e gilet di velluto lanciano la cultura hippie, ma l’evoluzione della moda maschile che non si arresta si affida a pantaloni svasati, jeans e capelli lunghi per marcare i Seventies, dove l’uomo ideale è alto e snello. Per chi non lo è arrivano cinture larghe a risolvere il problema, mentre i pantaloni di velluto a coste, magari color pastello, sintetizzano la figura di un giovane che è alla ricerca di nuovi valori e nuove prospettive. Prima dell’avvento di nuovi miti come John Travolta, che sul finire del decennio danza su una pista da ballo sotto una discoball scintillante. Giacca, pantalone, camicia aperta e accessori segnano lo shift verso una decade dove l’ostentazione regnerà sovrana.
Preppy, yuppie e punk: gli Ottanta
Negli anni Ottanta l’uomo esce di casa indossando capi sportivi e abiti tecnici da lavoro. Questa è la decade in cui felpe e t-shirt con stemmi e loghi di college americani diventano un must per i giovani, rendendo sempre più popolare lo stile preppy anche grazie alla tv che imperversa. Gli uomini degli anni Ottanta restano però inquieti. Possono essere giovani punk che abbracciano la moda goth. Oppure yuppie in carriera che nei momenti liberi e nei weekend optano per abiti in seersucker, polo con colletti spuntati e maglioni indossati sulle spalle. Gli stessi che si presentano in ufficio con abiti gessati, giacche a doppio petto, cravatte larghe. Il loro è power dressing, che contrasta con lo street style che emerge dal “basso”, dai ghetti delle grandi città. A dimostrazione che non spetta alla moda – come all’arte – trovare un punto d’incontro tra spiriti contraddittori.
Oltre il muro e i muri: evoluzione della moda uomo e anni 90
Il crollo del Muro di Berlino rappresenta lo spartiacque ideale tra due decadi così diverse. Cadono i muri, cadono le certezze. Da Seattle, l’inquietudine domina le canzoni di gruppi grunge come i Nirvana e i Pearl Jam. Niente più giacche large o spalline, le band adottano un look semplice e minimal. Camicia di flanella oversize indossata sopra una t-shirt, jeans con i buchi, gli anfibi. Ma anche berretti, magliette da indossare sotto un grosso cardigan, magari acquistato di seconda mano in un negozio dell’usato. La prevalenza dello streetwear in tutti i contesti, anche sul posto di lavoro, decreta l’accettazione trasversale di Jeans e felpe. È il trionfo del “Friday wear, perfetto per sopravvivere a un’altra settimana. Nell’attesa spasmodica, e inquieta, del nuovo Millennio.
La moda nel cinema, i look iconici ed eterni
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La moda ha fatto la storia del cinema, e la settima arte – ricambiando – ha consegnato la moda all’eternità
La moda ha fatto la storia del cinema, e la settima arte – ricambiando – ha consegnato la moda all’eternità
Nel cinema che conosciamo esistono film con trame molto diverse tra loro; tuttavia, non esiste una trama perfetta. Perché non può esserci un inizio, né una fine. Solo un’evoluzione, perché più di ogni altra forma artistica mette insieme talenti puri, diversi per natura e ispirazione. Film senza sceneggiatura? Irrealizzabili. Senza musica o scenografia? senza mordente. E le pellicole senza sarti e costumisti, come sarebbero? Incolori, verrebbe da rispondere. Ma poi tornano in mente i film in bianco e nero della Hollywood degli anni d’oro e la risposta suona oltremodo riduttiva. Perché la moda ha fatto la storia del cinema, e la settima arte – ricambiando – ha consegnato la moda all’eternità. A volte grazie a sequenze complesse, altre volte con un semplice primo piano. Per questo è sufficiente che Keanu Reeves appaia sullo schermo con il trench nero perché un frammento di celluloide rimanga impresso nei nostri ricordi.
Bombetta, bastone e giubbotto leggero
Il potere del cinema può essere tale che la realtà smette di avere importanza. Diventa facile credere che Charlie Chaplin sia come il suo Charlot, che indossa bombetta, bastone, vestiti stracciati. A dimostrazione che moda è concetto complesso, a volte un look trasandato premia più di tutto il resto. L’outfit deve dirci qualcosa in più del personaggio, andare oltre la sceneggiatura o l’immaginario evocato da musica e scenografia. Sessant’anni dopo Charlot, Ewan Mc Gregor non sarebbe lo stesso senza la maglia oversize mohair indossata in Trainspotting. I film sono anche questo, ossia il regno dove gli eroi sono Vagabondi, emarginati, e ribelli senza una causa. Il giorno dopo l’uscita di Gioventù Bruciata, James Dean diventò l’icona degli anni Cinquanta, poco prima dell’uscita di scena definitiva. La sua scomparsa a soli ventiquattro anni gli regala la vita eterna. Jeans aderenti, maglietta bianca, giubbotto rosso Harrington hanno dato il loro contributo.
Abiti e make-up hanno aiutato Marlene Dietrich a costruire un’identità gender fluid in netto anticipo rispetto ai tempi
Marlene, gender fluid e femme fatale
Sullo schermo a essere protagoniste sono spesso le storie d’amore. L’amore tra alcune attrici e i loro abiti è forse meno tormentato, ma non smette di incantare e interrogare i posteri. Abiti e make-up hanno aiutato Marlene Dietrich a costruire un’identità gender fluid in netto anticipo rispetto ai tempi. Ma l’attrice tedesca, capace di reinventarsi come pochissime, ha saputo veicolare l’ambiguità anche nei ruoli da femme fatale. Grazie ad abiti effetto nudo: illusione nell’illusione, capace di resistere decenni e ispirare artiste pop come Rihanna o Beyoncé. Merito di una costumista leggendaria, Edith Head, che in Caccia al ladro di Hitchcock creò per Grace Kelly il celebre abito bianco senza spalline. Ma il cinema è come una giostra, basta cambiare film per ritrovarsi di fronte a Vivien Leigh che in Vai col Vento sfoggia senza rimorsi un abito da festa bordeaux ingioiellato, firmato dal noto costumista Walter Plunkett.
Moda, cinema e cultura pop
Marilyn Monroe è tra le star, quella che deve la sua fama tanto ai celebri film in cui era protagonista, tanto agli outfit indossati. Anche perché quegli outfit hanno, a loro volta, contribuito a rendere più famose pellicole come Quando la Moglie è in vacanza o Gli Uomini preferiscono le bionde. Nel primo film, l’attrice interpreta una ragazza senza nome tormentata dall’afa di New York durante l’estate. Nella celebre scena in cui è ferma sulla grata della metropolitana, Marilyn indossa l’abito bianco con scollo a farfalla, che William Travilla disegna per lei enfatizzandone le curve, grazie a una gonna a pieghe e una silhouette aderente. Oltre il cinema, emblema della cultura pop, l’abito che la Monroe indossa ne Gli uomini preferiscono le bionde. Guanti da opera, vestito rosa shocking, gioielli ovunque: facile crederle quando canta che i diamanti sono i migliori amici di una ragazza.
Ecco Un tram che si chiama desiderio, dove Marlon Brando è vestito per tutto il film con una maglietta aderente. Mai come in questo caso l’interprete è come la persona: non può più nascondersi.
Oltre spazio e tempo
Talvolta una scollatura dà all’abito un tocco in più rispetto a tutti i tessuti del mondo. Per rendersene conto, basta bloccare lo schermo quando Anita Ekberg entra nella Fontana di Trevi ne La Dolce Vita, indossando una creazione dello scenografo e costumista premio oscar Pietro Gherardi. Il trionfo del puro glam, ma anche il prêt-à-porter può trasformarsi in qualcosa di più se lo sguardo è di quelli che bucano lo schermo. In due per la strada, Audrey Hepburn indossa abiti maglioni, jeans e sneakers. Ma poi entra in scena con l’abito di Paco Rabanne con macro-paillettes che evocano uno stile spaziale e psichedelico. L’ eyeliner astuto fa il resto, trasformando per l’ennesima volta l’attrice olandese in una donna senza tempo. Come la Holly di Colazione da Tiffany, che esalta la creazione di Givenchy pensate appositamente per lei: lungo abito di raso nero. Caffè in una mano e croissant nell’altra.
La verità in una maglietta aderente.
Attori, registi e costumisti: un lavoro in sinergia per rendere la moda preziosa alleata del cinema. Dunque, i cambi d’abito stanno ai film come i cambi di scena o di inquadratura. Ma, talvolta, per cogliere la vera essenza di ciò che ci circonda è necessario ridurre tutto ai minimi termini. Strato dopo strato, all’improvviso compare il set di Un tram che si chiama desiderio, dove Marlon Brando è vestito per tutto il film con una maglietta aderente. Mai come in questo caso l’interprete è come la persona: non può più nascondersi. Dando la prova, o l’illusione – dipende dai punti di vista – che il cinema, nei suoi giorni migliori, sia più vero della realtà che crediamo di conoscere.
I tessuti naturali per abiti (e non solo)
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è facile dimenticare quanto la tessitura abbia segnato le diverse epoche della civiltà umana
è facile dimenticare quanto la tessitura abbia segnato le diverse epoche della civiltà umana
I tessuti potrebbero essere definiti come l’intreccio di fili perpendicolari tra loro. Oppure come un manufatto, dove un unico filo – la trama – percorre l’ordito, risultato dell’insieme di fili tesi sul telaio. In realtà, è facile dimenticare quanto la tessitura abbia segnato le diverse epoche della civiltà umana, contribuendo alla sua evoluzione e alla sua stessa sopravvivenza. Non solo abiti da indossare, ma anche tappezzeria, accessori, rivestimenti murali: naturale o sintetico, un tessuto può raccontare molto di più rispetto a una prima occhiata. Ciniglia, damasco, acrilico, velluto e alcantara spiccano quando si tratta di rivestire gli interni. Mentre nell’industria dell’abbigliamento gli addetti ai lavori prediligono cotone, seta, lana, lino e cashmere per realizzare abiti e accessori che si adattano a gusti e umori diversi. Un tessuto di qualità, confortevole al tatto e piacevole alla vista, fa indubbiamente la differenza. Pertanto, è importante conoscerne le peculiarità per poterli apprezzare davvero.
I tessuti naturali: il cotone
Questo piccolo e resistente tessuto è il più diffuso al mondo. Si trova ovunque: dagli asciugamani alle lenzuola, dai jeans alle magliette, alla biancheria intima e altro ancora. Il cotone è una fibra naturale, coltivata, filata e pressata per ottenere la forma che conosciamo ogni volta che diamo un’occhiata al nostro guardaroba. Pur essendo resistente e durevole, è meglio lavarlo con cicli a freddo. Altamente consigliati anche i detersivi ecologici, mentre non sempre l’asciugatrice è la migliore soluzione. Un’ ottima alternativa al cotone tradizionale, il cotone biologico è sostenibile, rinnovabile e biodegradabile, prodotto senza l’uso di pesticidi. Non contiene residui di sostanze chimiche, poiché non ne vengono utilizzate nel processo di raccolta e coltivazione. Con la variante biologica, si riduce il rischio di contrarre allergie, specie per le persone soggette a reazioni cutanee o rush a causa di una pelle particolarmente sensibile.
Al primo tocco si potrebbe pensare che la seta sia fragile, ma in realtà è uno dei tessuti più forti che esistano
La seta
Tra i tessuti più belli al mondo, la seta è nota per essere elegante e amata da tantissimi stilisti di grido. Al primo tocco si potrebbe pensare che la seta sia fragile, ma in realtà è uno dei tessuti più forti che esistano. Parte di questa forza deriva dalla lunghezza delle fibre, mentre il processo di lavorazione è lungo e delicato, ragione principale del costo. Non è infatti possibile separare un filo di seta dalle fibre che lo compongono come accade con il cotone. Oltre alla resistenza, la seta è nota per
- traspirabilità, che riduce il rischio di surriscaldamento durante la giornata.
- Elasticità e flessibilità, che le permette di riprendere la forma dopo la stiratura, fino a un certo punto, perché tendere la seta all’estremo è pratica inutile e controproducente.
- La seta è abbastanza assorbente, quindi il lavaggio a mano in acqua fredda o a secco restano le opzioni migliori.
Il lino
Ricavato dalla pianta omonima, il lino è la fibra migliore per mantenere il fresco nelle giornate estive. Essendo una fibra naturale, il lino è biodegradabile e sostenibile, il che lo rende uno dei preferiti dai consumatori attenti all’ambiente. La trama consente la traspirazione intorno alla pelle e la rigidità del lino tiene il tessuto lontano dal corpo, asciugandosi rapidamente con il movimento dell’aria. Presenta diverse caratteristiche e vantaggi che lo rendono, tra i tessuti, un’opzione ideale grazie soprattutto a
- Durata: Il tessuto di lino è incredibilmente resistente e robusto, il che lo rende perfetto per prodotti utilizzati di frequente, come biancheria da letto e abbigliamento da lavoro.
- Morbidezza: Il tessuto di lino è morbido e delicato sulla pelle. Ciò lo rende una scelta fantastica per l’abbigliamento.
Il lino belga è rinomato in tutto il mondo per morbidezza, lucentezza, durata. Il lino irlandese, invece, ha una struttura ruvida e robusta, ma ugualmente durevole.
Non ci tiene solo caldi nei mesi più freddi. La lana offre protezione dai raggi UV, è traspirante, idrorepellente.
La lana
Fibra naturale al 100% e protagonista del nostro guardaroba invernale, la lana è nota – tra i tessuti naturali – per infinite proprietà che la rendono indispensabile. Non ci tiene solo caldi nei mesi più freddi. La lana offre protezione dai raggi UV, è traspirante, idrorepellente. Inoltre, necessita di lavaggi meno frequenti rispetto a fibre sintetiche che invece richiedono lavaggi regolari per evitare l’insorgenza di cattivi odori. Lavorata a maglia per realizzare maglioni e cardigan, o filata in fili sottili per creare cappotti e giacche, è un tessuto a basso impatto ambientale. La sua naturale elasticità fa sì che le fibre abbiano meno probabilità di rompersi e che i tessuti realizzati in lana abbiano meno probabilità di strapparsi. I capi in lana tendono a mantenere la loro forma meglio di quelli realizzati con altre fibre. Inoltre, lo strato esterno protettivo impedisce l’assorbimento delle macchie.
Le sartorie sociali: l'etica è moda
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Le sartorie sociali sono una realtà imprenditoriale sempre più consolidata. Rappresentano un’alternativa professionale per coloro che, in un momento di difficoltà economica, devono reinserirsi nel mondo lavorativo. Costituiscono un’opportunità per giovani, donne, migranti o persone con disabilità. In entrambi casi aiutano a recuperare autostima e nel modo più nobile. Ossia attraverso l’impegno e la creatività, garanzia di indipendenza economica per far fronte alle necessità quotidiane. Le cooperative responsabili forniscono gli strumenti per una formazione professionale che, favorendo l’inserimento lavorativo, facilitano l’inserimento sociale. Pertanto, diventano un’occasione di integrazione e riscatto, ispirandosi a principi etici come solidarietà e sostenibilità. Una rete di imprese che offrono più servizi e diffuse anche al di fuori delle grandi città del nostro paese. Per questa ragione, sono predisposti periodicamente bandi regionali, comunali ed europei, grazie ai quali è possibile reperire fondi per avviare un’attività finalizzata all’inclusione di soggetti spesso svantaggiati.
Specificità, equità, intraprendenza
Grazie a investimenti ridotti, inquadramento fiscale agevolato, e un business plan efficace – e il più possibile lungimirante – le sartorie sociali offrono servizi di vario tipo. Tra i principali, possiamo annoverare
- Confezionamento di capi per conto terzi
- Riparazioni di vario genere, classificabili come lavori ordinari di piccola sartoria
- Realizzazione di una vera e propria collezione di abiti
Esistono casi in cui varie realtà già esistenti si uniscono per far fronte alle difficoltà riscontrabili su un mercato sempre più competitivo. Uno sforzo imprenditoriale importante e strategico, mirato da un lato alla creazione di un’unica linea di accessori o abiti. Dall’altro, a preservare le specificità di ogni sartoria. Pertanto, si tiene fede ai principi etici che ispirano una produzione artigianale dove proattività, intraprendenza ed equità costituiscono molto più di una valida ragione per andare avanti. La collaborazione tra più realtà conferma che le sartorie sociali nascono per valorizzare le qualità dell’individuo e le sue aspirazioni.
Di generazione in generazione
Le botteghe sartoriali, come da tradizione, sono realtà imprenditoriali dove l’attività di veri e propri maestri si tramanda di generazione in generazione. Nel periodo compreso tra gli anni Cinquanta e gli anni Novanta del ventesimo secolo la sartoria italiana ha saputo affermarsi ben oltre i confini, trasformandosi in un vero e proprio brand. Un settore di punta del Made in Italy, emblema di buon gusto, ricercatezza, personalizzazione. Le sartorie sociali non sono da meno, essendo vere e proprie sartorie in grado di offrire prodotti di alta qualità, ma soprattutto unici. Nel segno dell’artigianato lontano da cliché, pattern standardizzati, spesso frutto di una produzione di massa che sfrutta manodopera non qualificata. Per i principi a cui si ispirano, le sartorie sociali costituiscono un valore aggiunto per i territori e le comunità. Quindi un’occasione in più per integrare politiche sostenibili e di integrazione
Non sarà un’avventura – e nemmeno un’utopia.
Per far nascere un’impresa c’è bisogno di tanto lavoro e tanto studio. Talvolta capita che un incontro fortuito o un imprevisto diano la spinta per lanciarsi in un progetto imprenditoriale che ha il sapore dell’avventura – ma molto spesso, fa pensare a un’utopia. Parola che viene in mente quando i concetti di sostenibilità, integrazione e inclusione sono associati al mondo imprenditoriale. Le sartorie sociali nascono anche per lo scopo di smentire atteggiamenti disfattisti e poco inclini all’innovazione: dietro a ognuna di queste attività imprenditoriali, oggi affermate, ci sono storie diverse. Ad ogni modo, tutte legate a vite vissute in contesti difficili o messe a dura prova dagli eventi. Capita quindi di imbattersi nella storia di lavoratori provenienti da paesi del Terzo Mondo. O donne – italiane – che pur avendo un lavoro sicuro, sono state licenziate dopo assenze giustificate dall’assistenza a figli con disabilità.
Da Nord a Sud
In Italia esistono sartorie sociali in tutte le regioni da Nord a Sud, come dimostrano
- La sartoria sociale Fiore all’occhiello in Brianza, che ha deciso di puntare tutto sulla creazione di abiti di alta moda.
- Mafric a Milano, esempio di impresa che collabora con altre realtà lombarde
- Gelso, presente da oltre trent’anni a Torino, dove lavorano donne provenienti da più paesi
- Sartorie Leggere di Bologna, nata per volontà di una mamma, licenziata per le assenze dovute alle cure della figlia, affetta da sindrome di Down.
Spostandoci a Roma, le sartorie Cyrius e coloriage danno lavoro a donne siriane, cingalesi e senegalesi che realizzano abiti ispirati alla moda africana. Esempio simile a Palermo, con Sartoria African Style istituita con i proventi derivanti dall’8 per mille destinati alla chiesa valdese. A Napoli, nei quartieri di Ponticelli e Scampia, le sartorie sociali S’arte e fatto@Scampia hanno aiutato tante donne a uscire dalla disoccupazione.
Laboratori sociali nelle carceri
Se da un lato le sartorie sociali nascono per contrastare povertà e arginare situazioni marginali ai limiti della legalità, dall’altro costituiscono uno strumento in più per combattere pregiudizi e atteggiamenti recidivi. La cooperativa Alice ha avviato Sartoria San Vittore, associazione che, oltre al penitenziario omonimo, opera nelle carceri lombarde di Monza e Bollate. Un altro progetto laboratoriale è attivo da tempo presso il carcere di Opera. Qui grazie a Borseggi, i detenuti si formano e imparano un mestiere. Realizzano capi e accessori, ispirandosi al mondo là fuori, al futuro che li vedrà liberi e pronti a dare il loro – sempre personalissimo – contributo.
Le stampe, realtà e sogno senza tempo
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Estetica,
praticità,
creatività.
Estetica,
Le stampe nella moda rappresentano una ricerca di stile. Sempre attuali, spesso versatili, talvolta iconiche. Nonostante gli anni, segnati da cambi di ritmo e di gusti, le sfilate della stagione primavera estate 2024 sanciscono che sono sempre amati. Gli abiti stampati strizzano l’occhio ad ogni tipo di esigenza: estetica, pratica, creativa. Stuzzicano l’immaginario di stilisti e acquirenti, perché arricchiscono tessuti e modelli. Soprattutto, rispondono ai cambiamenti di umore e al desiderio di esprimere a 360 gradi aspetti della personalità, sia evidenti che latenti. Da esternare con un cambio d’abito a distanza di poche ore; dunque spazio al floreale che soddisfa la voglia di classicismo o all’animalier che asseconda la grinta delle donne di oggi. Senza dimenticare i pois – tornati dopo anni di assenza – o i motivi geometrici che delineano tratti spigolosi. Fino alle stampe check o tartan, non più relegate ai mesi autunnali o invernali
Dove il colore si unisce con la leggerezza
Dove il colore si unisce con la leggerezza
Floreale immortale
Dovendo immaginare continuamente la donna del futuro, gli stilisti si trovano di fronte al dilemma ricorrente in ogni stagione. Come dare indicazioni di stile, settando regole e lasciando al tempo stesso spazio alla creatività? Versatilità è l’unica risposta che sembra sostenere il peso di tutte queste domande. Dunque, gli abiti stampati rappresentano la soluzione congeniale. Ovunque spicca la presenza di motivi floreali – con buona pace delle battute di Miranda Priestley. Gigli, pattern con piccole margherite, tutto concorre alla definizione di stampe dove a trionfare è la voglia di freschezza e classicismo. Una scelta che permette di aggiungere un tocco di colore e leggerezza al look, specie in situazioni formali. Dove un pizzico di frivolezza – misurata, calcolata – risulta particolarmente efficace anche grazie ad abbinamenti con borse a pochette, mocassini eleganti, sandali dal tocco sobrio. Un incrocio di elementi minimal e colorati. Per convincere e respirare
I pois, trendy (e dandy)
Tra tutte le stampe, le fantasie a pois sono spesso un must. Da duecento anni le troviamo su abiti ed accessori, grazie ai dandy che in epoca vittoriana le sceglievano per vivacizzare tinte grigie e anonime. Da allora i tessuti puntellati da dots sono ideali in tutti i contesti. Adatti in ambienti Country o urban, per un evento o per una semplice giornata di shopping. Bianchi e neri secondo Dolce e Gabbana, sul fondo rosso per Moschino, optical nella migliore tradizione Cavalli. Senza dimenticare i piccoli pois – quasi invisibili – proposti dalla linea Chanel, contrapposti alle scelte di Stella Mc Cartney o Westwood che non si pongono limiti quando si tratta di scatenare fantasie o colori. Pertanto, la scelta resta a chi deve indossarli, come tradizione della moda impone.
Ogni stile ha un suo perché
L’animalier, un tocco di grinta in più
Nell’ambito delle stampe, il print animalier trova il suo spazio anche in questa stagione. Ormai si conferma un elemento evergreen, preferibilmente inserito su tessuti e toni neutri, dal beige al color panna. Magari anche da abbinare ad accessori dove il black è dominante, o – per chi ama osare – a quelli dove i motivi geometrici sono dominanti. I modelli snake, almeno quest’anno, da prediligere rispetto al leopardato. Quindi spazio a trench, pantaloni o stivali pitonati – ma anche giacche o t-shirt. Senza dimenticare spolverini e borse a spalla. In linea con una fantasia nata per trasmettere audacia con eleganza. Come nelle intenzioni originali di stilisti come Dior o Yves Saint Laurent, tra i principali fautori di uno stile che dagli anni Sessanta in poi ha avuto grande impatto sullo stile. Presente sulle passerelle, come in strada, a dimostrazione che si tratta di un fenomeno globale. Come auspicato da maestri del genere, Roberto Cavalli e Alexander Mc Queen in testa.
Il tartan: uno stile ritmico e all season
I quadri, intesi come opere d’arte e di design. Quando parliamo di moda, vengono in mente inevitabilmente gli intramontabili tartan che rimandano alle remote Highlands scozzesi. Disegni quadrati spezzati da righe di vario colore, posti in sequenza sull’ordito e sulla trama, che creano ritmo e suggeriscono vitalità. Tra le stampe, il tartan è forse più associato alla stagione fredda, ma in un mondo che cambia, la reinvenzione è sempre dietro l’angolo. Così possiamo trovarli su abiti perfettamente intonati alla stagione calda, grazie a varianti che propongono toni freschi – come il celeste – o il fluo. Una leggerezza e una freschezza doverose, su canotte e tessuti in seta, da alternare a tessuti a righe come propone Vuitton. Nel segno del multicolor e del mix and match, sempre più parole chiave per chi cerca e persegue uno stile, più che il trend del momento.
Coerenza e contraddizione
La presenza di motivi geometrici anche netti, degni dei quadri di Mondrian, non è incoerente con il desiderio di dare voce e colore alle istanze di chi ama indossare abiti con le stampe più diverse. Tutt’altro: i disegni spigolosi, i blocchi a colore, le gonne a campana amati da stilisti come Fendi, Vuitton o Versace ribadiscono che il mondo è complesso. Così come lo sono i gusti e i punti di vista, che rispondono come possono a un mondo articolato dove la contraddizione è dietro l’angolo. Sartorie e case di moda sono pronte alla sfida: del resto, non sono qui per questo?
Made in Italy e sartoria d'eccellenza
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Stile e lungimiranza
Made in Italy: tre parole bastano ad evocare stile, unicità, creatività. Una formula recente e facilmente memorizzabile, capace di raccontare una storia più lunga e complessa. Esiste un setting ideale – l’Italia del dopoguerra – così come resistono nella memoria uomini e luoghi precisi che hanno dato vita a un fenomeno unico, capace di esaltare creatività e la voglia di fare impresa. Nel 1951 l’imprenditore toscano Giovan Battista Giorgini, da tempo nel settore della moda, organizza un evento nella sala dell’allora Grand Hotel di Firenze. L’evento è notevole, così le ambizioni promuovono un cambio di prospettiva: volare alto, puntare sulla storia. Si approda a Palazzo Pitti, dove la prima sfilata avviene sotto lampadari in cristallo di Boemia. Da quel momento l’Italia diventa sinonimo di alta moda. E non potrebbe essere altrimenti: è chiaro a tutti che qui la bellezza è di casa. Merito della natura, del genio creativo. Forse anche del destino.
Made In Italy, Hollywood e la Dolce vita
La Sala Bianca di Palazzo Pitti accoglie compratori e giornalisti noti a livello internazionale. Da Irene Brin che scrive per Harper’s Bazaar a Oriana Fallaci, sostenitrice della sartoria italiana e in particolare di un capo nuovo, destinato a fare la rivoluzione, ossia il tailleur. L’America è vista come la mecca d’oro, gli americani come il veicolo per promuovere definitivamente una nuova visione dell’Italia, desiderosa di emanciparsi rispetto a stereotipi che vanno avanti da secoli. Un’altra – forse l’ultima – grande intuizione di uomini come Giorgini che dà i suoi frutti ancora oggi. Il Mit garantisce due miliardi di euro di introiti e un patrimonio inestimabile in termini di immagine. Anche grazie a Hollywood, alla Dolce vita, all’epoca generosa del boom. Dove ragazzi aitanti e belle ragazze sfrecciano in Vespa, diventando – inconsapevolmente – testimonial dell’alta sartoria. Dello stile oltre la moda. Di un paese intero più che di un fenomeno di costume.
Un bivio importante: gli anni ‘60.
La voglia di comprendere il Made In Italy ci spinge ad abbracciare discorsi più ampi e strutturati su più contesti. Proprio l’Italia del Boom economico svolge un ruolo chiave nell’espansione dell’artigianalità. In quegli anni crescono ansia e attesa per il futuro. Con il dopoguerra ormai alle spalle, spunta la voglia di innovazione, che mette di fronte a scelte importanti e cruciali per l’avvenire. Si fa largo l’idea di puntare tutto sul nuovo, abbandonando segmenti dell’apparato produttivo – come l’industria tessile – che appaiono ormai desueti e ancorati al passato. Se questo non accade è merito di uomini come Giorgio Fuà e Giacomo Becattini. Se il primo intuisce la necessità di modernizzare i settori più tradizionali come la sartoria, il secondo – un economista – promuove il concetto di territorialità. Quel principio che oggi rende possibile la creazione di distretti industriali e di un’autentica filiera produttiva, principale alleata della manifattura locale e nazionale.
Local, e globale
Quando pensiamo alle eccellenze del nostro paese, tendiamo a dare per scontate anche le eccellenze regionali. Ogni regione o territorio contribuisce a rinsaldare l’immagine di un paese dove la cura per il dettaglio e l’unicità sono tratti distintivi. Se oggi resiste il mito del Made in Italy è anche perché il mondo artigianale e imprenditoriale possono far leva su fattori fondamentali, quali
- Unicità e peculiarità di un territorio complesso storicamente e morfologicamente. Aspetti che accentuano e valorizzano le differenze
- L’identità fisica e culturale dei prodotti, che costituiscono un vanto per la popolazione, sempre più sensibile alle potenzialità del settore
Dopo gli anni Ottanta la globalizzazione ha alterato la percezione e il valore delle produzioni locali. Se da un lato ha sfumato i principi del Made in, dall’altro ha favorito lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione. Nuove vie capaci di veicolare prodotti di alta qualità e di pura eccellenza.
L’imbarazzo della scelta.
Spesso sfugge un concetto: la moda, a distanza di anni, è un traino per l’economia secondo più declinazioni. L’eleganza, il culto per lo stile, la storia dei laboratori sartoriali funge da vera e propria calamita per turisti e viaggiatori di tutti i paesi del mondo. Le nostre città sono popolate da uomini e donne che hanno modo di vedere o toccare da vicino l’eccellenza del made in Italy. Un vero e proprio tour tra Milano, con il quadrilatero della moda, Firenze, nota per la sua pelletteria e gli accessori o Roma, famosa per l’haute couture. Se è vero che il capoluogo lombardo può essere visto come l’epicentro ideale degli eventi culturali e mondani – anche per merito della fashion week – è altrettanto innegabile che tantissime città italiane custodiscono i segreti dell’alta sartoria. Basti pensare alle boutique di Venezia, Genova o Napoli: tutti luoghi ricchi di fascino e storie senza tempo.
Moda italiana, essere senza tempo
L’essere senza tempo è forse la caratteristica più evidente della moda italiana. Malgrado esistano tante visioni e versioni del Made in Italy, da Roma a Washington, da Milano a Tokyo, ancor oggi il Made in Italy è associato alla moda più che a tutte le altre eccellenze prodotte nello stivale. Forse non esiste una ragione; o forse ne esistono centinaia. Che fanno capo ad aziende e botteghe spesso nate all’interno di famiglie e tramandate per generazioni. Sono loro, le storiche famiglie della moda e della sartoria, ad aver abbattuto i confini. A rendere credibile un vero paradosso: si può conquistare il mondo senza muoversi di un passo. Ovviamente, dopo avergli preso le misure.