Prêt-à-porter

Prêt-à-porter e haute couture, la moda come ispirazione

I capi prêt-à-porter sono realizzati da stilisti di talento, eppure quello che oggi chiamiamo ready-to-wear non evoca scenari dell’alta moda. Dovuto al carattere esclusivo di quest’ultima, con creazioni uniche e su misura. Alla luce di questa premessa, occorre ricordare cosa ha permesso al prêt-à-porter di espandersi sul mercato. Innanzitutto, il metodo di produzione più economico, meno dispendioso in termini di tempo. A differenza di un abito di haute couture, che può richiedere centinaia se non migliaia di ore di lavoro, nonché costi elevati. Altro fattore chiave nella creazione di abiti ready to wear i processi automatizzati per snellire la produzione. Non una novità di oggi; già nel 1800 il governo degli Stati Uniti ricorse alla produzione in serie per realizzare uniformi per l’esercito, aprendo la strada a un abbigliamento maschile che diventa accessibile. Una produzione di massa che riguarderà solo successivamente la moda femminile, dove domina ancora la sartoria.

Prêt-à-porter e haute couture, l’attesa delle passerelle

A dispetto dell’opinione comune di molti non addetti ai lavori, case di moda che producono principalmente linee Haute Couture, come Chanel, Dior e Yves Saint Laurent, realizzano anche linee Prêt-à-Porter per aumentare la redditività. Tutto ciò possibile grazie a un volume di vendite elevato, con costi di produzione inferiori per ogni singolo capo. Queste collezioni sono disponibili per la vendita due volte l’anno, di solito prima della stagione, sulle passerelle della Settimana della moda di New York, Londra, Milano e Parigi tra febbraio/marzo e settembre/ottobre. Pertanto, ogni sei mesi compratori, giornalisti accreditati, celebrità e influencer passano da una settimana della moda all’altra per seguire le sfilate e assistere alle presentazioni. Naturalmente, tutti i riflettori restano puntati sull’Alta moda, perché senza l’ Haute Couture non avremmo sarti specializzati che lavorano su tessuti di alta qualità. Con bellissimi dettagli e ricami pregiati. E nemmeno creazioni su misura, pensate unicamente per la persona.

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Una legislazione ad hoc, per una definizione ad hoc

In Francia, il termine “Haute Couture” è protetto dalla legge secondo i termini imposti dalla Chambre de Commerce et d’industrie de Paris. Il paese impone ai suoi artigiani e ai suoi stilisti regole precise. Nessuna casa di moda può definirsi d’alta moda e utilizzare questa parola in relazione ai suoi prodotti se non rispetta regole specifiche come

  • Disegnare su ordinazione per clienti privati, con prove multiple;
  • Avere un atelier a Parigi che impieghi almeno quindici membri a tempo pieno e venti tecnici;
  • presentare al pubblico una collezione di almeno cinquanta modelli originali per ogni stagione di moda, sia di abiti da mattina che da sera.

Criteri rigidi, ma che non devono impressionare. O lasciar intendere che l’haute couture sia inaccessibile sempre e comunque. Infatti, l’alta moda ha anticipato ciò che la politica spesso ha tardato a comprendere, venendo incontro per prima – come altre forme artistiche – agli umori della gente.

Alta moda in Italia e l’ispirazione francese

L’Alta Moda, è versione italiana dell’haute couture francese, dato che è ispirata agli stessi principi, dove è imprescindibile

  • realizzare modelli originali da confezionare su misura per singole clienti
  • creare modelli destinati a compratori professionisti che in questo modo acquisivano il diritto di riprodurli

Fino ai primi anni Sessanta, le donne di tutto il mondo guardavano a Parigi, Firenze e Roma per acquistare – o sognare – abiti per arricchire il guardaroba. La Boutique era un secondo settore, creativamente autonomo, dove trovare gli accessori, ma soprattutto capi d’abbigliamento confezionati artigianalmente. Rigorosamente in taglie in piccola serie, creati e prodotti sia da marchi specializzati sia da alcune case di alta moda. Commercializzati, spesso in esclusiva, in lussuosi Department store americani. Come non citare l’atelier delle sorelle Fontana o Pucci a Firenze, con laboratori interni per produrre abiti unici, e uno staff di sarti e sarte, anche a domicilio, per lavorare su capi meno complessi.

Haute couture e prêt-à-porter, convivenza possibile

I primi passi del prêt-à-porter, come inteso oggi, risalgono all’America degli Anni ’40. Negli anni Sessanta, l’esplosione della Pop culture impone un ripensamento dei ruoli in brevissimo tempo anche in Europa. I negozi cominciano a riempirsi di abiti, per cui è fondamentale differenziare l’offerta e aprirsi in modo inedito alla platea femminile. L’obiettivo della moda di fascia alta non è più porsi in concorrenza con la produzione industriale responsabile della produzione in serie. Bensì, vuole trovare percorsi alternativi che assicurino l’altissima qualità dei capi e la loro capacità di dettare nuovi trend. Pertanto, mira verso un pubblico più eterogeneo, ma con caratteristiche sociali e culturali simili alla clientela dell’haute couture. Di conseguenza, nasce  un sistema su tre livelli: l’Alta Moda sul gradino più alto, la confezione a quello più basso e il prêt-à-porter de couture a quello intermedio.