sartorie sociali

Le sartorie sociali: l’etica è moda

Le sartorie sociali sono una realtà imprenditoriale sempre più consolidata. Rappresentano un’alternativa professionale per coloro che, in un momento di difficoltà economica, devono reinserirsi nel mondo lavorativo. Costituiscono un’opportunità per giovani, donne, migranti o persone con disabilità. In entrambi casi aiutano a recuperare autostima e nel modo più nobile. Ossia attraverso l’impegno e la creatività, garanzia di indipendenza economica per far fronte alle necessità quotidiane. Le cooperative responsabili forniscono gli strumenti per una formazione professionale che, favorendo l’inserimento lavorativo, facilitano l’inserimento sociale. Pertanto, diventano un’occasione di integrazione e riscatto, ispirandosi a principi etici come solidarietà e sostenibilità. Una rete di imprese che offrono più servizi e diffuse anche al di fuori delle grandi città del nostro paese. Per questa ragione, sono predisposti periodicamente bandi regionali, comunali ed europei, grazie ai quali è possibile reperire fondi per avviare un’attività finalizzata all’inclusione di soggetti spesso svantaggiati.

Specificità, equità, intraprendenza

Grazie a investimenti ridotti, inquadramento fiscale agevolato, e un business plan efficace – e il più possibile lungimirante – le sartorie sociali offrono servizi di vario tipo. Tra i principali, possiamo annoverare

  • Confezionamento di capi per conto terzi
  • Riparazioni di vario genere, classificabili come lavori ordinari di piccola sartoria
  • Realizzazione di una vera e propria collezione di abiti

Esistono casi in cui varie realtà già esistenti si uniscono per far fronte alle difficoltà riscontrabili su un mercato sempre più competitivo. Uno sforzo imprenditoriale importante e strategico, mirato da un lato alla creazione di un’unica linea di accessori o abiti. Dall’altro, a preservare le specificità di ogni sartoria. Pertanto, si tiene fede ai principi etici che ispirano una produzione artigianale dove proattività, intraprendenza ed equità costituiscono molto più di una valida ragione per andare avanti. La collaborazione tra più realtà conferma che le sartorie sociali nascono per valorizzare le qualità dell’individuo e le sue aspirazioni.

Di generazione in generazione

Le botteghe sartoriali, come da tradizione, sono realtà imprenditoriali dove l’attività di veri e propri maestri si tramanda di generazione in generazione. Nel periodo compreso tra gli anni Cinquanta e gli anni Novanta del ventesimo secolo la sartoria italiana ha saputo affermarsi ben oltre i confini, trasformandosi in un vero e proprio brand. Un settore di punta del Made in Italy, emblema di buon gusto, ricercatezza, personalizzazione. Le sartorie sociali non sono da meno, essendo vere e proprie sartorie in grado di offrire prodotti di alta qualità, ma soprattutto unici. Nel segno dell’artigianato lontano da cliché, pattern standardizzati, spesso frutto di una produzione di massa che sfrutta manodopera non qualificata. Per i principi a cui si ispirano, le sartorie sociali costituiscono un valore aggiunto per i territori e le comunità. Quindi un’occasione in più per integrare politiche sostenibili e di integrazione

Non sarà un’avventura – e nemmeno un’utopia.

Per far nascere un’impresa c’è bisogno di tanto lavoro e tanto studio. Talvolta capita che un incontro fortuito o un imprevisto diano la spinta per lanciarsi in un progetto imprenditoriale che ha il sapore dell’avventura – ma molto spesso, fa pensare a un’utopia. Parola che viene in mente quando i concetti di sostenibilità, integrazione e inclusione sono associati al mondo imprenditoriale. Le sartorie sociali nascono anche per lo scopo di smentire atteggiamenti disfattisti e poco inclini all’innovazione: dietro a ognuna di queste attività imprenditoriali, oggi affermate, ci sono storie diverse. Ad ogni modo, tutte legate a vite vissute in contesti difficili o messe a dura prova dagli eventi. Capita quindi di imbattersi nella storia di lavoratori provenienti da paesi del Terzo Mondo. O donne – italiane – che pur avendo un lavoro sicuro, sono state licenziate dopo assenze giustificate dall’assistenza a figli con disabilità.

Da Nord a Sud

In Italia esistono sartorie sociali in tutte le regioni da Nord a Sud, come dimostrano

  • La sartoria sociale Fiore all’occhiello in Brianza, che ha deciso di puntare tutto sulla creazione di abiti di alta moda.
  • Mafric a Milano, esempio di impresa che collabora con altre realtà lombarde
  • Gelso, presente da oltre trent’anni a Torino, dove lavorano donne provenienti da più paesi
  • Sartorie Leggere di Bologna, nata per volontà di una mamma, licenziata per le assenze dovute alle cure della figlia, affetta da sindrome di Down.

Spostandoci a Roma, le sartorie Cyrius e coloriage danno lavoro a donne siriane, cingalesi e senegalesi che realizzano abiti ispirati alla moda africana. Esempio simile a Palermo, con Sartoria African Style istituita con i proventi derivanti dall’8 per mille destinati alla chiesa valdese. A Napoli, nei quartieri di Ponticelli e Scampia, le sartorie sociali S’arte e fatto@Scampia hanno aiutato tante donne a uscire dalla disoccupazione.

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Laboratori sociali nelle carceri

Se da un lato le sartorie sociali nascono per contrastare povertà e arginare situazioni marginali ai limiti della legalità, dall’altro costituiscono uno strumento in più per combattere pregiudizi e atteggiamenti recidivi. La cooperativa Alice ha avviato Sartoria San Vittore, associazione che, oltre al penitenziario omonimo, opera nelle carceri lombarde di Monza e Bollate. Un altro progetto laboratoriale è attivo da tempo presso il carcere di Opera. Qui grazie a Borseggi, i detenuti si formano e imparano un mestiere. Realizzano capi e accessori, ispirandosi al mondo là fuori, al futuro che li vedrà liberi e pronti a dare il loro – sempre personalissimo – contributo.