Made in Italy e sartoria d'eccellenza
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Stile e lungimiranza
Made in Italy: tre parole bastano ad evocare stile, unicità, creatività. Una formula recente e facilmente memorizzabile, capace di raccontare una storia più lunga e complessa. Esiste un setting ideale – l’Italia del dopoguerra – così come resistono nella memoria uomini e luoghi precisi che hanno dato vita a un fenomeno unico, capace di esaltare creatività e la voglia di fare impresa. Nel 1951 l’imprenditore toscano Giovan Battista Giorgini, da tempo nel settore della moda, organizza un evento nella sala dell’allora Grand Hotel di Firenze. L’evento è notevole, così le ambizioni promuovono un cambio di prospettiva: volare alto, puntare sulla storia. Si approda a Palazzo Pitti, dove la prima sfilata avviene sotto lampadari in cristallo di Boemia. Da quel momento l’Italia diventa sinonimo di alta moda. E non potrebbe essere altrimenti: è chiaro a tutti che qui la bellezza è di casa. Merito della natura, del genio creativo. Forse anche del destino.
Made In Italy, Hollywood e la Dolce vita
La Sala Bianca di Palazzo Pitti accoglie compratori e giornalisti noti a livello internazionale. Da Irene Brin che scrive per Harper’s Bazaar a Oriana Fallaci, sostenitrice della sartoria italiana e in particolare di un capo nuovo, destinato a fare la rivoluzione, ossia il tailleur. L’America è vista come la mecca d’oro, gli americani come il veicolo per promuovere definitivamente una nuova visione dell’Italia, desiderosa di emanciparsi rispetto a stereotipi che vanno avanti da secoli. Un’altra – forse l’ultima – grande intuizione di uomini come Giorgini che dà i suoi frutti ancora oggi. Il Mit garantisce due miliardi di euro di introiti e un patrimonio inestimabile in termini di immagine. Anche grazie a Hollywood, alla Dolce vita, all’epoca generosa del boom. Dove ragazzi aitanti e belle ragazze sfrecciano in Vespa, diventando – inconsapevolmente – testimonial dell’alta sartoria. Dello stile oltre la moda. Di un paese intero più che di un fenomeno di costume.
Un bivio importante: gli anni ‘60.
La voglia di comprendere il Made In Italy ci spinge ad abbracciare discorsi più ampi e strutturati su più contesti. Proprio l’Italia del Boom economico svolge un ruolo chiave nell’espansione dell’artigianalità. In quegli anni crescono ansia e attesa per il futuro. Con il dopoguerra ormai alle spalle, spunta la voglia di innovazione, che mette di fronte a scelte importanti e cruciali per l’avvenire. Si fa largo l’idea di puntare tutto sul nuovo, abbandonando segmenti dell’apparato produttivo – come l’industria tessile – che appaiono ormai desueti e ancorati al passato. Se questo non accade è merito di uomini come Giorgio Fuà e Giacomo Becattini. Se il primo intuisce la necessità di modernizzare i settori più tradizionali come la sartoria, il secondo – un economista – promuove il concetto di territorialità. Quel principio che oggi rende possibile la creazione di distretti industriali e di un’autentica filiera produttiva, principale alleata della manifattura locale e nazionale.
Local, e globale
Quando pensiamo alle eccellenze del nostro paese, tendiamo a dare per scontate anche le eccellenze regionali. Ogni regione o territorio contribuisce a rinsaldare l’immagine di un paese dove la cura per il dettaglio e l’unicità sono tratti distintivi. Se oggi resiste il mito del Made in Italy è anche perché il mondo artigianale e imprenditoriale possono far leva su fattori fondamentali, quali
- Unicità e peculiarità di un territorio complesso storicamente e morfologicamente. Aspetti che accentuano e valorizzano le differenze
- L’identità fisica e culturale dei prodotti, che costituiscono un vanto per la popolazione, sempre più sensibile alle potenzialità del settore
Dopo gli anni Ottanta la globalizzazione ha alterato la percezione e il valore delle produzioni locali. Se da un lato ha sfumato i principi del Made in, dall’altro ha favorito lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione. Nuove vie capaci di veicolare prodotti di alta qualità e di pura eccellenza.
L’imbarazzo della scelta.
Spesso sfugge un concetto: la moda, a distanza di anni, è un traino per l’economia secondo più declinazioni. L’eleganza, il culto per lo stile, la storia dei laboratori sartoriali funge da vera e propria calamita per turisti e viaggiatori di tutti i paesi del mondo. Le nostre città sono popolate da uomini e donne che hanno modo di vedere o toccare da vicino l’eccellenza del made in Italy. Un vero e proprio tour tra Milano, con il quadrilatero della moda, Firenze, nota per la sua pelletteria e gli accessori o Roma, famosa per l’haute couture. Se è vero che il capoluogo lombardo può essere visto come l’epicentro ideale degli eventi culturali e mondani – anche per merito della fashion week – è altrettanto innegabile che tantissime città italiane custodiscono i segreti dell’alta sartoria. Basti pensare alle boutique di Venezia, Genova o Napoli: tutti luoghi ricchi di fascino e storie senza tempo.
Moda italiana, essere senza tempo
L’essere senza tempo è forse la caratteristica più evidente della moda italiana. Malgrado esistano tante visioni e versioni del Made in Italy, da Roma a Washington, da Milano a Tokyo, ancor oggi il Made in Italy è associato alla moda più che a tutte le altre eccellenze prodotte nello stivale. Forse non esiste una ragione; o forse ne esistono centinaia. Che fanno capo ad aziende e botteghe spesso nate all’interno di famiglie e tramandate per generazioni. Sono loro, le storiche famiglie della moda e della sartoria, ad aver abbattuto i confini. A rendere credibile un vero paradosso: si può conquistare il mondo senza muoversi di un passo. Ovviamente, dopo avergli preso le misure.